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EVASIONE PROLETARIA O ESPROPRIO FISCALE?




"Gli sprechi della pubblica amministrazione, il parassitismo e l'inefficienza
che si annidano nell'impiego pubblico costituiscono da sempre le ragioni
per cui l'evasione fiscale, in vaste cerchie sociali, non è circondata di riprovazione".
(Angelo Panebianco, Corriere della Sera, 11 luglio 2006)




"ROMA - All'indomani dell'«esproprio proletario» compiuto da circa 200 disobbedienti
nel centro commerciale romano Panorama, la questura ha identificato 68 persone
tra i partecipanti all'iniziativa e a breve scatteranno le denunce all'autorità
giudiziaria per rapina o furto.
Per [il verde] Paolo Cento «le manifestazioni dei precari e dei disoccupati
non sono un'emergenza di ordine pubblico, ma la conferma che la flessibilità e il carovita
stanno determinando una nuova drammatica emergenza sociale»".
(Corriere della Sera, 7 novembre 2004)




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CORRIERE DELLA SERA
11 luglio 2006
Lotta antievasione e diffidenza degli italiani
DUE CONSIGLI PER IL FISCO
di ANGELO PANEBIANCO

A leggere un sorprendente titolo dell’ Unità di domenica («Colpiremo gli arricchiti e gli evasori») sembrava che il ministro Tommaso Padoa-Schioppa, durante un incontro con i sindacati, avesse fatto un’improvvisa dichiarazione di guerra al capitalismo e all’economia di mercato. In realtà Padoa-Schioppa, come risultava dallo stesso articolo dell ’Unità , aveva inteso dire che verranno colpiti coloro che si sono arricchiti evadendo le tasse. Per fortuna, nonostante quel titolo, l’arricchimento in quanto tale, se avviene con mezzi leciti, non è ancora considerato un delitto né una colpa da espiare. È un fatto però che il clima, e le parole d’ordine, che circondano l’energica azione di contrasto all’evasione decisa dal governo Prodi, non sono esenti da qualche spiacevole suggestione demagogica. Lottare contro l’evasione fiscale è dovere dei governi ma per farlo in modo efficace occorre che il problema non venga ridotto esclusivamente a «questione criminale». Fermo restando che la forma più efficiente di lotta all’evasione consiste nel far pagare poche tasse (più leggero è il carico, maggiore è l’incentivo a pagare), è comunque ovvio che l’evasione fiscale, quando raggiunge ampie proporzioni, è spia di un rapporto malato, fatto di sfiducia reciproca, fra cittadini e Stato. La storia dei rapporti fra gli italiani e il fisco mostra che questa malattia ha origini antichissime (era presente anche negli Stati italiani pre-unitari). Se così è, la lotta all’evasione non può mai esaurirsi nel solo momento repressivo. Occorre accompagnarla con azioni che incidano sui meccanismi che alimentano il circolo vizioso della sfiducia.
Ci sono almeno due elementi che dovrebbero entrare nella «equazione fiscale» del governo. Il primo riguarda il contenimento del potere discrezionale degli organi preposti agli accertamenti. Da sempre, gli italiani temono il carattere spesso arbitrario, oppressivo e persecutorio dell’azione delle amministrazioni fiscali. Agire su questo aspetto è almeno altrettanto importante che contrastare direttamente l’evasione. Per esempio, non è certo che sia di buon auspicio, da questo punto di vista, la decisione, contenuta nel pacchetto Visco, di ampliare i poteri di intervento dell’amministrazione fiscale in tema di compravendita di immobili. Quei poteri sono stati in passato fonte di molti arbitrii. Potrebbero tornare a esserlo. Continuando ad alimentare la sfiducia dei contribuenti nei confronti dello Stato.
Il secondo elemento riguarda l’uso dei soldi pubblici. Gli sprechi della pubblica amministrazione, il parassitismo e l’inefficienza che si annidano nell’impiego pubblico costituiscono da sempre le ragioni per cui l’evasione fiscale, in vaste cerchie sociali, non è circondata di riprovazione. La lotta all’evasione sarebbe più credibile se fosse accompagnata da una decisa volontà di bonificare l’amministrazione pubblica magari anche vincendo il tabù che impedisce di licenziare i dipendenti inetti o superflui. I sindacati si ribellerebbero ma il governo disporrebbe di un’arma morale in più per combattere la stessa evasione fiscale. Le malelingue non potrebbero più accusarlo di usare due pesi e due misure. Più accortezza servirebbe forse anche a combattere la tendenza delle componenti estremiste della maggioranza a confondere l’illecita evasione delle tasse e il sacrosanto (in un’economia libera, almeno) diritto che ciascuno ha di tentare di arricchirsi.




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INNEGABILI ANALOGIE TRA AZIONI CHE HANNO IN COMUNE UN "CARATTERE OPPRESSIVO E PERSECUTORIO":


"Ci sono almeno due elementi che dovrebbero entrare nella «equazione fiscale»
del governo. Il primo riguarda il contenimento del potere discrezionale degli
organi preposti agli accertamenti. Da sempre, gli italiani temono il carattere
spesso arbitrario, oppressivo e persecutorio dell'azione delle amministrazioni
fiscali".
(Angelo Panebianco, Corriere della Sera, 11 luglio 2006)



"ROMA - All'indomani dell'«esproprio proletario» compiuto da circa 200 disobbedienti
nel centro commerciale romano Panorama, la questura ha identificato 68 persone
tra i partecipanti all'iniziativa e a breve scatteranno le denunce all'autorità
giudiziaria per rapina o furto. Le condanne che rischiano gli autori del
gesto sono pesanti, il magistrato potrebbe contestare agli indagati anche
la premeditazione. Una circostanza che determinerebbe un consistente incremento
di pena.
TOLLERANZA ZERO - Il Viminale ha fatto sapere che «non sono e non saranno
tollerate illegalità di alcun genere, da chiunque commesse» e ha dato disposizione
ai questori «affinché i responsabili vengano perseguiti con fermezza e denunciati,
operando, ove possibile, anche con arresti in flagranza di reato»".
(Corriere della Sera, 7 novembre 2004)




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ANCORA UN ARTICOLO DEL PROFESSOR PANEBIANCO SUL FENOMENO DELL'EVASIONE FISCALE E SULLA DEONTOLOGIA DELLA VITA PUBBLICA, PUBBLICATO A COMMENTO DI ALCUNE FRASI PRONUNCIATE DALL'ONOREVOLE PREVITI:




CORRIERE DELLA SERA
30 settembre 2002
UN MODELLO DI CITTADINO
di ANGELO PANEBIANCO

L'onorevole Cesare Previti, interrogato sabato a Milano in qualità di imputato
al processo Imi-Sir, si è difeso, come è suo diritto, dall'accusa di essere
un corruttore di giudici ma, difendendosi, ha fatto affermazioni sconcertanti.
Qualche lettore ricorderà che chi scrive ha sempre criticato duramente la
giustizia politicizzata spesso in azione in questo Paese. Ho anche più volte
scritto nel corso degli anni, e ne resto convintissimo, che una parte della
magistratura pratica l'accanimento giudiziario «selettivo», molto più contro
una parte politica che contro l'altra. Aggiungo di nutrire forti perplessità
sulla stessa vicenda giudiziaria Imi-Sir (dalla gestione del caso Ariosto
all'episodio della bobina manipolata). Ritengo inoltre barbaro e immorale
l'atteggiamento di coloro che sono sempre stati pronti a giurare sulla colpevolezza
di Previti, di coloro per i quali Previti è sempre stato, lombrosianamente,
un mostro. Per questo penso di avere le carte in regola per dire che Previti,
al quale comunque auguro un esito positivo della sua vicenda giudiziaria,
dopo le affermazioni di sabato dovrebbe avere il buon senso di dimettersi
immediatamente da ogni carica pubblica, a cominciare da quella di parlamentare.
Per difendersi dall'accusa di essere un corruttore, Previti si è autodenunciato
come evasore fiscale. Ecco un paio di passaggi salienti. A proposito di quella
che oggi definisce una «parcella», i 21 miliardi ricevuti dagli eredi Rovelli
per la causa Imi-Sir, egli dichiara che «(...) c'era un?iradiddio mediatica.
Per paura si scatenasse il fisco, su consiglio dei miei legali diedi una
versione in cui non venisse mai fuori la parola parcella. Parlai di mandato
che mi pareva la parola più anonima per evitare questo rischio gravissimo».
Testuale.
Ancora, a proposito dei suoi rapporti con l'avvocato Pacifico, Previti dice:
«Usavo l'avvocato Pacifico per fare rientrare denaro dalla Svizzera. In quel
caso, accreditai soldi a Pacifico su un conto da lui indicatomi e lui mi
diede l'equivalente in Italia in contanti per spese che spiegherò». Racconta
anche di una «finta vendita» di una villa ad Ansedonia nel 1995, nonché di
aver fatto arrivare quattro miliardi e mezzo a Roma quando era ministro della
Difesa nel 1994. Riferendosi al fatto che, come ministro, avrebbe dovuto
rinunciare a gran parte degli introiti della sua attività professionale,
Previti spiega: «Non volendo retrocedere dalle mie abitudini, prevedevo che
col mio incarico pubblico avrei avuto bisogno di ingenti quantità di denaro
contante».
Il quadro è quello di un ex ministro, nonché parlamentare, che si dichiara
pubblicamente colpevole di evasione fiscale in grandissimo stile, per fior
di miliardi. Non è l'aspetto penale che qui interessa, ma quello civile e
politico. Previti non può seriamente pensare che le sue ammissioni non diventino
un caso politico, non può pensare che le cose di cui ha parlato siano solo
«fatti suoi» come ha più volte detto in tribunale. Sono fatti nostri, invece,
a causa della dimensione pubblica della sua attività: perché se un ex ministro
può dichiarare ciò che Previti ha dichiarato, senza che ne consegua automaticamente
la sua esclusione dalla vita pubblica, il messaggio che arriva ai cittadini/contribuenti
è devastante. Come il ministro dell'Economia Giulio Tremonti potrebbe facilmente
spiegare all'onorevole Previti.
Ancora, sono fatti nostri perché Previti fa parte di una maggioranza che
sostiene un governo il quale (quando si dice le coincidenze) è in questo
momento impegnato a varare un concordato fiscale. Con quale credibilità il
governo può allora agire in questa materia? Con quale faccia? Previti, insomma,
dovrebbe comprendere da solo che le sue dimissioni da parlamentare sono,
a questo punto, un atto dovuto. Se poi, malauguratamente, egli dimostrasse
di non avere la sensibilità per capirlo, toccherebbe al partito e alla maggioranza
di cui fa parte metterlo gentilmente, ma fermamente, alla porta.





CORRIERE DELLA SERA
1 ottobre 2002
PREVITI, LA DEPOSIZIONE DI MILANO E L'EVASIONE FISCALE
lettera di CESARE PREVITI
risposta di ANGELO PANEBIANCO

Il deputato interviene sulla richiesta di dimissioni avanzata da Angelo Panebianco
Previti, la deposizione di Milano e l'evasione fiscale


Gentile direttore,
dopo sette anni di martellamento mediatico-giudiziario nei miei confronti,
vengo a scoprire che non sono più un corruttore di magistrati ma un evasore
fiscale e che quindi, per i ruoli istituzionali che ricopro, dovrei dimettermi
dalla carica di parlamentare. Scopro anche di essere stato io stesso ad ammettere,
nel corso del mio interrogatorio al processo Imi-Sir-Lodo Mondadori, di essere
un evasore fiscale. Al termine della lettura dell'editoriale di Angelo Panebianco,
mi ha colto un senso di vertigine, perché le considerazioni vengono da un
editorialista che ho sempre stimato e che continuerò a seguire con attenzione
perché mai banale, sempre incisivo, a volte scomodo, ma costantemente guidato
dall'obiettività.
Egli obiettivamente parla di giudizi politicizzati, di un processo come minimo
«sospetto» di irregolarità, di un massacro sistematico avvenuto nei miei
confronti, al punto da essere considerato lombrosianamente da molti come
un mostro. Ebbene, io sono stato massacrato a tal punto dai media che il
risultato della mia deposizione di sabato è stato nascosto così bene da non
saltare agli occhi neanche dello stesso Panebianco.
Non una contestazione specifica mi è stata fatta, non un episodio di corruzione
di un giudice è stato citato, non una domanda su processi da me fatti aggiustare
a suon di tangenti, versate a chissà chi. Se devo tirare le somme della mia
deposizione non posso che essere soddisfatto: io non sono accusato di nulla,
perché nulla mi è stato contestato, quindi non ho corrotto alcun giudice,
perché non è emerso dalle domande del pm un solo fatto che induce anche solo
a pensare ad una tale eventualità. Nulla di nulla.
E allora, cos'è stata quell'udienza? Cos'ha significato? La risposta arriva
dall'editoriale di Panebianco, anch'egli tratto in inganno dalle cronache
del processo. I magistrati sapevano di non avere in mano nulla, non sono
riusciti a mettermi in difficoltà una sola volta, e allora hanno spinto sull'acceleratore
del processo mediatico per capovolgere l?esito di un'udienza altrimenti per
loro fallimentare, dipingendomi come un evasore fiscale, dando l'immagine
di un immorale traffichino. E questo, nonostante con le accuse non entrasse
nulla (mi si può chiedere se ero l"amante di Carla Ariosto"). Molte delle
domande della Boccassini puntavano solo a demolirmi come uomo e deputato.
E il suo ripetere in sottofondo, nonostante le mie spiegazioni, «allora lei
ha evaso il fisco», conferma questo mio assunto.
Bene. Assodato dunque che io non ho corrotto alcun giudice, è il caso di
spiegare che io non ho neanche ammesso alcuna evasione fiscale: non ho certo
scelto il male minore, un danno morale al posto di una condanna per corruzione.
Perché se è vero che negli anni passati ho avuto delle disponibilità all'estero,
è altrettanto vero che questa situazione io l'ho regolarizzata e sanata anche
attraverso un condono tombale, pagando quanto dovuto di legge. Resta il dato,
avvilente, di un processo deformabile, che si sposta a destra e a sinistra,
secondo le convenienze, senza trovare un solo appiglio. Qui non si sta perseguendo
un reato, si sta perseguendo una persona per il suo stile di vita, i suoi
ideali, i suoi rapporti. E lo si sta facendo attraverso violazioni di legge,
manipolazioni di prove, commissione di reati che confido saranno perseguiti
in futuro.
Questo messaggio non è riuscito a farsi strada efficacemente tra le maglie
di un'informazione abituata negli anni passati ad un comprovato eccesso di
credito verso la Procura di Milano. Panebianco mette in discussione il mio
«modello» di cittadino. Io, sommessamente, vorrei mettere in discussione
il «modello» di magistrati, di servitori dello Stato che hanno costruito
questo carrozzone mediatico per praticare «l'accanimento giudiziario selettivo»,
come lo definisce lo stesso editorialista, attraverso abusi e gravi falsificazioni.
I cittadini italiani dovrebbero essere allarmati più da un Cesare Previti
che non ha corrotto giudici e non è un evasore fiscale, oppure da un manipolo
di pm e giudici che polverizzano le basi dello stato di diritto e si mettono
al di fuori della stessa legge per attaccare e distruggere anche umanamente
un avversario politico?


LA RISPOSTA DI ANGELO PANEBIANCO:
Non essendo un poliziotto, un pubblico ministero o un ispettore delle finanze
io ho posto all'onorevole Previti esclusivamente un problema di decoro pubblico
da un lato e di opportunità politica, dall'altro. Ho fatto riferimento alle
sue (e sottolineo sue) dichiarazioni in merito ad attività relative al periodo
in cui egli non era più un privato cittadino ma era già entrato nella vita
pubblica, in qualità di ministro (per un breve periodo) e di parlamentare.
Ora, a me pare che le sue dichiarazioni creino un grande problema: per lui,
ma anche per l'immagine della forza politica di cui fa parte. Come l'onorevole
Previti mi dà gentilmente atto, io provo personalmente ripugnanza per ogni
forma di demonizzazione. Io credo, semplicemente, che esista in questo caso
una questione che è lecito chiamare di deontologia della vita pubblica. Una
questione che né l'onorevole Previti, membro di rilievo, nella sua qualità
di ex ministro, della maggioranza di governo, né la maggioranza stessa, possono
continuare ad ignorare.




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ALTRI CONTRIBUTI PER UN'ANALISI DEL FENOMENO DELL'EVASIONE FISCALE E DELLE CAUSE CHE LO DETERMINANO:



"Le hanno sequestrato in Svizzera 7 milioni e mezzo di franchi. Circa 9 miliardi
di vecchie lire. Non è poco per un magistrato, conviene?
"E' un'enormità. Ma quelli non solo non sono soldi frutto di corruzione.
Semplicemente, non sono i soldi di Renato Squillante".
E di chi sono?
"Sono i risparmi di sette nuclei familiari. Di 11 persone. I miei figli e
le loro famiglie, i miei suoceri...Disgraziati che sono stati trascinati
in quest'inferno senza avere una sola responsabilità".
Neanche una lira delle sue?
"Due-trecento milioni. I risparmi di una vita in magistratura".
E perché quei milioni di franchi li aveva tutti lei?
"Quando aprii il conto in Svizzera ero appena uscito dalla Consob. L'inflazione
in Italia era al 22 per cento e la famiglia pensò che affidarne a me la gestione
fosse un modo per mettere in salvo i propri risparmi e farli fruttare".
Evadendo il fisco.
"Sì"."
(Renato Squillante, intervistato da Carlo Bonini, La Repubblica, 2 ottobre
2002)




"C'è una norma di diritto naturale, che dice che se lo Stato ti chiede un
terzo di quello che con tanta fatica hai guadagnato, questa ti sembra una
richiesta giusta, e glielo dai in cambio di servizi che lo Stato ti dà. Se
lo Stato ti chiede di più, o molto di più, c'è una sopraffazione nei tuoi
confronti e allora ti ingegni per trovare dei sistemi elusivi o addirittura
evasivi, che senti in sintonia con il tuo intimo sentimento di moralità,
e che non ti fanno sentire intimamente colpevole".
(Silvio Berlusconi, all'epoca presidente del Consiglio, in visita al comando
della Guardia di Finanza, Roma, 11 novembre 2004)






INES TABUSSO