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CORRIERE DELLA SERA
13 aprile 2006

Una Camera al Polo, l’Unione si divide
Il «fronte della fermezza» gela i dialoganti
Stop sulle trattative dopo l’affondo del premier.
Rizzo e Travaglio: nessuna intesa
Ma Curzi: bello tornare al modello Iotti.
Mastella: nominiamo un senatore a vita

ROMA - Rispedita al mittente l’ipotesi di una grande coalizione, il centrosinistra si interroga sull’atteggiamento da tenere con l’opposizione. Linea della fermezza o della collaborazione? Rifiutare ogni trattativa o tentare un’apertura almeno per l’elezione delle cariche istituzionali? Dialogare anche nell’azione di governo o procedere spediti per la propria strada, senza tener conto dell’altra metà dell’emiciclo parlamentare? Dubbi su cui però rischia di pesare, come una pietra tombale, l’ultimo, durissimo affondo contro l’Unione lanciato ieri sera da Berlusconi.

NIENTE ACCORDI - Sulla scelta del nuovo Capo dello Stato l’Unione vorrebbe evitare strappi e trovare un nome che possa essere gradito all’opposizione: l’ha detto martedì Rutelli e l’ha ripetuto ieri D’Alema. Il cosiddetto metodo-Ciampi, insomma. Eppure qualche voce che canta fuori dal coro c’è. Marco Rizzo , ad esempio, tanto d’accordo non sembra: «Il nostro elettorato ha chiesto un’alternanza decisa e quindi non dobbiamo cedere assolutamente su nulla, nemmeno sul Quirinale», tuona l’eurodeputato del Pdci. Ancora più tranchant Marco Travaglio , che boccia qualsiasi tipo di inciucio, «sia hard che light», e mette in guardia dal fidarsi di Berlusconi: «Il suo consenso è sempre interessato, chi lo cerca sa che deve pagare contropartite non politiche ma affaristico-televisive e giudiziarie. E comunque - aggiunge - se l’Unione gli propone un candidato decente, lui certo non lo vota».
Passi per il Quirinale, ma soprattutto dopo l’ennesimo attacco del premier molti nel centrosinistra non sono disposti a fare altre concessioni al centrodestra. Tipo cedere la presidenza di una Camera: al termine del vertice di ieri, l’Unione ha sancito che sugli scranni più alti di Montecitorio e Palazzo Madama saliranno solo esponenti del centrosinistra. «Certo che sarebbe giusto cercare un’ampia convergenza, ma come si fa in queste condizioni, con questo clima? Gli elettori non capirebbero», spiega Franco Marini . E poi «le presidenze delle Camere sono strumenti di governo», aggiunge il responsabile organizzativo della Margherita che è in lizza proprio per una delle due cariche. Stesso ragionamento per il neo senatore Antonio Polito : «Non è questione di bontà politica, i presidenti servono a far funzionare il Parlamento e quindi a garantire una gestione che consenta di attuare l’agenda politica dell’esecutivo». E comunque, sbotta la diessina Livia Turco , il primo passo spetta alla CdL: «Come si fa a dialogare con chi nemmeno riconosce l’esito delle elezioni, ti ricopre di insulti e ti manca di rispetto? Certo, se Berlusconi si togliesse di mezzo sarebbe più facile».
Pollice verso anche da Dario Franceschini , Renzo Lusetti , Luigi Bobba , il direttore di Europa Stefano Menichini . E ancora Franco Giordano e Roberto Villetti . «Qualsiasi tentativo di cogestione e corresponsabilità che tenda a rendere più mansueta l’opposizione ci porterebbe su un terreno scivoloso», sottolinea Daniele Capezzone , lanciando un avvertimento: «Alla fine ci infinocchierebbero». Contrario a cedere una presidenza delle Camere anche il politologo Gianfranco Pasquino , piuttosto dubbioso pure sulla possibilità di fare riforme condivise: «Ma se non riescono a dialogare nemmeno fra di loro! Su questi temi nel centrosinistra scarseggiano i punti di contatto». Fermezza, dunque, ma senza esagerare perché, avverte il prodiano Andrea Papini , «sarebbe sbagliato cercare un accordo generale, se però su alcuni punti del programma le distanze si possono accorciare, che male c’è? Fermezza sì, ma ragionevole».


DISPONIBILI CON RISERVA - Eppure il capitolo presidenza delle Camere non per tutti va archiviato. Disponibile al beau gest è Sandro Curzi : «Ricordo i casi di Nilde Iotti e Pietro Ingrao, certo era un altro mondo... Tornare a quello spirito sarebbe un bel segnale per il Paese», sospira il consigliere d’amministrazione della Rai mentre Berlusconi fuori dal Quirinale grida ai brogli e denuncia le irregolarità del voto. Dichiarazioni destinate a infiammare un clima già incandescente e i buoni propositi rischiano di restare tali: «In linea di principio sarei anche favorevole a lasciare all’opposizione la presidenza di una Camera, ma come ci si può fidare? - osserva Enzo Carra -. Prima ti insultano, poi ti chiedono la grande coalizione, poi ti insultano di nuovo». Teoricamente disponibili si dicono anche Umberto Ranieri , Paolo Cento , Piero Sansonetti : «In condizioni normali sarebbe un modo per affermare l’autonomia del Parlamento rispetto all’esecutivo, ma nella situazione attuale, con questo clima, si rischia di dare un messaggio sbagliato: quello dell’inciucio», spiega il direttore di Liberazione . «Le due poltrone vanno alla maggioranza, anche perché se diamo quella del Senato all’opposizione sembra che gli vogliamo fregare un voto», ragiona Clemente Mastella , che però lancia una proposta: «Bisogna mettersi d’accordo e lo potremmo fare eleggendo presidente un senatore a vita».


LE CONDIZIONI - Nel centrosinistra c’è anche chi si spingerebbe oltre, se Berlusconi la smettesse di menar fendenti: Enzo Bianco è pronto a scegliere con l’opposizione alcuni presidenti di Authority, Mimmo Lucà e Luigi Bobba auspicano il dialogo nella stesura di leggi su temi eticamente sensibili come la fecondazione assistita. Senza trascurare la "tecnica" di governo, aggiunge Pierluigi Castagnetti : «Bisogna cambiare stile politico e rimettere al centro il Parlamento». Come? «Evitando continui ricorsi a decreti legge, leggi delega e voti di fiducia che di fatto tagliano fuori le Camere», spiega l’ex capogruppo della Margherita, citando ad esempio Aldo Moro e la sua capacità di «auscultare l’Italia, anche quelli che hanno votato per l’altra parte». Niente a che vedere con Berlusconi, le cui dichiarazioni sono «molto gravi e oggettivamente irresponsabili, non solo sotto il profilo istituzionale», tuona Castagnetti.
«C’è un 50 per cento del Paese che non può essere demonizzato, non si può governare con la porta chiusa», dice Peppino Caldarola che propone alla CdL un armistizio ma a una condizione: «Berlusconi non può andare avanti, deve accettare il risultato elettorale». Se lo farà, il deputato diessino è disposto a lasciare all’opposizione, in particolare a Fini, la presidenza della commissione Esteri e affidare quella Antimafia a Pisanu. Richiestissimo, l’attuale titolare dell’Interno: «Potremmo anche farlo restare al Viminale», propone (scherzando ma non troppo) l’economista Michele Salvati . Il clima è rovente, il dialogo difficile, ma la speranza è l’ultima a morire: «Sarebbe bello poter scegliere i ministri del prossimo governo con uno spirito quasi bipartisan».

Livia Michilli Lorenzo Salvia


INES TABUSSO