00 18/11/2005 15:20

"A Roma c’è tutto: la sanità pubblica e quella privata di ogni colore politico"
www.fondazionesanraffaele.it/61702.html

30/04/2004
L'Espresso
Sono il bisturi di Dio

Ha fondato un grande polo sanitario e di ricerca. Ha trattato con i grandi della terra. E a 84 anni dà ancora battaglia. A Bush.

Don Luigi Verzè sta dritto come un fuso nei suoi 84 anni e guarda il mondo dall’alto. Non per l’età, che lo ha lasciato indenne nel fisico e nello spirito, non per la superbia che non sarebbe sentimento da prete, ma per la compiaciuta consapevolezza di stare in cima a un’impresa notevole. Da solo, su una testarda idea giovanile, scavalcando con disinvoltura gli ostacoli e considerando ogni aiuto un dono della provvidenza, ha edificato quel monumento alla buona sanità che è l’Ospedale San Raffaele di Milano. Lo ha poi esportato dove ha potuto, gli ha affiancato un imponente centro di ricerca e un’università in cui insegnano star della filosofia come Cacciari e Severino. Ci sarebbe di che fermarsi a bearsi del già fatto, se non fosse che don Verzè si sente e si muove come un guerriero nel pieno della forza, in perenne battaglia contro la malattia e la mortalità del corpo umano. Non possiamo che cominciare da questa sfida.
Il suo istituto presto ci darà il segreto delle cellule staminali. Ma lei è uomo di Chiesa. Non sta correndo in un territorio proibito, non sta sfidando il potere di Dio?
“No, perché dove arriva l’intelletto umano c’è ancora moltissimo spazio prima di arrivare a Dio. Noi siamo il prodotto del suo amore, ma di un amore intelligente. Quando Dio ha fatto l’uomo gli ha trasmesso la sua intelligenza e gli ha dato mandato di usarla”.
Fino a quale limite? Lei ne ha trovato uno?
“Per me scienza e fede sono sorelle gemelle. Stanno entrambe della stessa parte, non una di fronte all’altra come pensano molti ecclesiastici. L’unico limite è la ricerca seria, quella che dà risultati veri e importanti”.
Anche quella che ispira all’immortalità?
“Secondo il mio parere, Dio non ha creato la morte”.
Davvero?
“Lo dice il libro della Sapienza. Dio ha assunto forma tangibile affinché l’uomo lo conoscesse meglio attraverso i sensi. E poi che cosa facciamo del nostro aspetto carnaceo? Lo ignoriamo e non lo studiamo perché non siamo veri cristiani”.
Lei invece lo studia.
“Ho dedicato la mia vita a questo. Io sono un prete medico. Gesù disse predicate il regno di Dio e guarite gli infermi. Predicare senza guarire è dimezzare il mandato divino”.
Viene da pensare, come disse Cacciari, che la sua sia un’eresia umanistica.
“Rispondo a lei come risposi a lui: No, questa è teoantropologia, termine da me coniato che significa identificazione dell’uomo con Dio”.
Decise per queste idee di farsi prete?
“Decisi a 12 anni, poi affinai il mio pensiero con la filosofia metodica. Ma c’è anche un fattore genetico che mi viene da mio padre. Era un logico con una netta idea del si e del no. I contadini ricorrevano sempre a lui per dirimere le cause. Anche con me fu netto quando di diseredò perché andavo a farmi prete”.
Addirittura! Come mai era così contrario?
“A distanza di anni ho capito che sperava che prendessi in mano il patrimonio di famiglia. Il giorno che me ne andai definitivamente da casa, cercò anche di fermarmi gettando sul tavolo un portafoglio gonfio di soldi. “Ti do tutta l’eredità se resti”, mi disse. Mi sbarrava la porta con il corpo, ma io lo tirai da parte e, citando il Vangelo, gli dissi che avrei voluto il centuplo di questa vita e poi la vita eterna”.
Il centuplo l’ha già realizzato. Si è poi riconciliato con suo padre?
“Si, ma sono rimasto senza eredità. Ho avuto una miseria, quella obbligatoria per legge. Del resto mio padre pensava che stessi rinunciando all’insieme della vita: al patrimonio, ma anche alle ragazze. “Pensa che buggerata per te se l’inferno non c’è”, mi diceva. E io rispondevo. “Pensa che buggerata per te, se invece c’è”.
E lei ha mai patito per quella rinuncia?
“Io avevo avuto una buona educazione. Come San Luigi Gonzaga non guardavo mai in faccia mia madre, anche perché lei non è che si prestasse molto. Mi ricordo quando mi ha dato l’unico bacio della sua vita: era il giorno della mia cresima”.
Però non mi ha risposto.
“La sensibilità non l’ho mai persa, se è questo che vuole sapere. Il controllo dei sensi non è una cosa impossibile. Le ragazze mi guardavano perché ero piuttosto bello, ma io avevo fatto una scelta. Vuole che le spieghi che cosa è per me il peccato?”
Che cosa è?
“E’ la rottura della salute perfetta, cioè dell’armonia di corpo, psiche e spirito. E’ la disumanizzazione. Uccidere è peccato, fare la guerra è peccato. A Bush ho contestato di essersi abbandonato a una violenza personale, caratteriale, senza lavorare di intelligenza, cosa che avrebbe risparmiato molti guai a tutti: Ha commesso l’errore di portar via la regina delle vespe, e le vespe, che sono dappertutto, si sono messe a pungere all’impazzata”.
Gli ha parlato veramente o lo ha contestato in cuor suo?
“Questo non glielo posso dire, ma ci sono tanti modi di far sapere le cose. Avrei voluto anche parlare con Saddam, avevo preparato tutto e stavo per partire quando hanno chiuso lo spazio aereo”.
Ma davvero pensava di ammansire Saddam?
“Ci avrei provato. Sono un pover’uomo che tentava di fare quello che non hanno fatto i grandi della terra. Del resto ci ero già riuscito con Fidel Castro. L’ho aiutato molto ad evolversi. Ha visto come ha cambiato atteggiamento nei confronti della Chiesa? E’ venuto anche dal Papa, tanto che il Papa in seguito è andato a Cuba. Chi ha preparato tutto questo?”
Lei?
“Non lo sapeva? Lo sa tutto il mondo. Poi ovviamente c’è stato il decisivo intervento delle diplomazie. Stavo facendo un buon lavoro anche con Gheddafi, ma un attentato gli ha ucciso la figlia e non ha voluto più andare avanti. Ma per Saddam ancora mi chiedo perché non hanno cercato di incontrarlo invece di mandare i cannoni. Forse perché ci sono di mezzo i pozzi di petrolio?”
Se Saddam era irraggiungibile, poteva almeno parlarne con il suo amico Berlusconi.
“Ne abbiamo parlato, eccome. Guardi che Berlusconi la pensa come tutti noi, ma deve far vedere cosa vuol dire essere italiano”.
Cosa vuol dire?
“Vuol dire essere coerenti. Lui dice che se si appartiene alla comunità occidentale, purtroppo bisogna fare anche quello che non si vorrebbe. Io so per certo che fino all’ultimo Berlusconi ha tentato di tutto, ha pregato Bush di non fare la guerra ma quello non ragionava più”.
Queste cose come le sa?
“Non glielo dirò mai. Ma Bush è un uomo così. Dopo la caduta di Saddam gli ho mandato una lettera per dirgli che volevo fare un San Raffaele sul Tigri. Gli chiedevo un finanziamento ricordandogli che Bagdad è stata per secoli la culla della civiltà e si merita anche un ospedale di alta cultura medica”.
Bush cosa le ha risposto?
“Mi ha fatto scrivere: “Non è nel nostro costume finanziare ospedali, questo è compito delle fondazioni”. Controrisposta di don Verzè: “E’bravo a fare la guerra, non è capace di fare la pace”.
Lei ha molti amici, ma si è fatto anche un po’di nemici.
“Macchè, le persone sono tutte uguali per me, non ho amici né nemici. Quello che comanda è uno solo. Il presidente è Lui e sta lassù”.
Quaggiù però qualcuno l’ha aiutata e altri no.
Tra i primi chi ricorda con più affetto?
“Don Calabria, di cui sono stato segretario e il Cardinale Schuster. Un santo e un beato che mi hanno spronato a portare avanti i miei progetti. La stessa cosa non si può dire del Cardinal Montini, poi Papa Paolo VI”.
Vede che spuntano i nemici…
“Non un nemico, ma una persona che quando era a Milano talvolta ascoltava troppo i suggerimenti della Curia. Dopo aver accolto con entusiasmo la mia idea per un ospedale che desse dignità e cura al malato, un giorno del 1959 mi disse seccamente: “Lasci stare tutto e torni a fare il buon prete”.
Ma lei non ubbidì.
“Certo che no. Risposi: “Se non faccio ciò che devo non sarò mai un buon prete”. I fatti mi hanno dato ragione”.
Non sempre.
“A che cosa si riferisce?”
A Roma non è riuscito a fare ciò che sognava. Ha perso il suo ospedale modello.
“A Roma c’era Rosy Bindi che faceva il ministro. Ancora non posso credere che una donna possa essere così cattiva, cattiva proprio dentro, nelle viscere. Mi disse: “Lo so bene che questo è l’ospedale più bello d’Europa, ma lei lo deve vendere”.
Non le ha chiesto perché?
“Non ce n’era bisogno. Qualcuno aveva capito che il San Raffaele era una concorrenza terribile. A Roma c’è tutto: la sanità pubblica e quella privata di ogni colore politico”.
C’è anche l’Università Cattolica.
“E’ lei che l’ha detto. Non io.Quando il sommo sacerdote Caifa chiese a Gesù Cristo: “Tu sei il figlio di Dio?, lui rispose “Tu lo hai detto”. Capito?
Capito. Ora però sia più esplicito. Che opinione ha di papa Wojtyla?
“Questo grande papa ha adempiuto alla sua missione che era quella di traghettarci nella nuova epoca. Ma il prossimo passo dovrà essere diverso”.
Diverso come?
“La nuova era è tutta da disegnare e la persona che il Signore sceglierà per fare il Papa dovrà assumere atteggiamenti e decisioni più realistici. Se Cristo si è fatto uomo per l’uomo, la Chiesa non può lasciar scappare l’uomo troppo davanti a sé. Deve accompagnarlo e se l’uomo corre deve correre con lui”.
Si riferisce alla scienza?
“Penso a molte cose, ma non voglio fare esempi. Dico solo che bisognerebbe sempre ricordare che non è l’uomo fatto per la Chiesa, ma il contrario”.
E’ da questa convinzione che le viene l’energia per costruire ancora?
“Era ora che me lo chiedesse. Sto per varare grandi progetti e ancora non ne abbiamo parlato. A voi giornalisti interessa più il passato che il futuro. Invece tra pochi giorni inaugurerò quattro prime pietre che duplicheranno la capacità del San Raffaele”.
Allora mi perdonerà se la tratto solo per un momento come se fosse anziano e le faccio la domanda di rito. E’ soddisfatto della sua vita?
“Le confido la mia ultima ispirazione. L’ho avuta stamattina mentre pregavo e me la sono scritta. Eccola: mi sento al servizio di Dio per l’uomo e sono felice”.
Berlusconi ha detto che la dovrebbero fare beato in vita.
“Se è per questo Fidel Castro, in due visite successive, mi ha detto: la Chiesa la canonizzerà”.
Le ha fatto piacere?
“Per lui, perché faceva un bel pensiero. Devo dirle tutto? A me non importa proprio niente. Quello che io vorrei davvero, quando sarò di là, è raccogliere le lacrime dei troppi malati che piangono. Sto già promettendo a molti che mi occuperò di loro”.


*********************************



www.fondazionesanraffaele.it/62032.html

25/08/2004 Il Giornale
Don Verzè: “Così mi hanno costretto a vendere il San Raffaele di Roma”

“Costretto a vendere l’ospedale agli Angelucci”
Don Verzè racconta in un libro la vicenda del San Raffaele di Roma. “La Bindi mi disse: lei deve lasciare la capitale”

Alle radici di Sprecopoli. Scavando nel passato è facile trovare reperti molto interessanti e storie mai raccontate dai protagonisti. Una delle più oscure e inquietanti riguarda la vendita dell’ospedale San Raffaele di Roma, un gioiello realizzato da Don Luigi Verzè sul modello milanese che il sacerdote fu costretto a cedere nel 1999 dall’allora ministro della Sanità Rosy Bindi. Pressioni, duri confronti, messaggi trasversali: tutto contribuì a far ritirare da Roma don Verzè, che alla città stava regalando un grande ospedale di stile americano.
Politici, banchieri, imprenditori e decine di miliardi pubblici finiti in fumo. La storia è narrata direttamente dal protagonista nel libro “Pelle per pelle”, la biografia inedita di Don Luigi Verzè, scritta con il nostro Giorgio Gandola e pubblicata dalla Mondatori, che uscirà nelle librerie il prossimo sette settembre. Ecco alcuni brani del capitolo in cui si racconta la vicenda del San Raffaele di Roma.

Simboli. All’ingresso dell’Ospedale S. Raffaele di Milano c’è un megalite di marmo rosso di Verona: raffigura la scena dell’angelo Raffaele che indica a Tobia come curare il padre che sta diventando cieco. E’ opera del Maestro Manfrini. Davanti al Dibit c’è la rappresentazione di un Sigillo alta dieci metri: è lo Jesus Deus Patient, il Dio che patisce, l’icona del medico-sacerdote. Nervosa e imponente, sul piazzale si staglia anche una scultura di Salvatore Fiume: è Tobia con il pesce, nelle viscere del quale caverà la medicina che salverà il padre. Il logo dell’università è l’uomo leonardesco con la citazione del Salmo 8: “Quid est homo?” (Cosa è l’uomo?).
Infine, sul viale d’ingrasso dell’ospedale c’è un’enorme campana. Si chiama Laetitia, fu benedetta dal Papa ed era il simbolo del San Raffaele di Roma. Nella notte dell’11 giugno 1999 le ha fatto fare un viaggio da incubo sino a Milano. Non poteva lasciarla nelle mani del nemico. Così una pattuglia di operai guidati dal fidatissimo Mario Tolotti sono andati a riprenderla e a portarla a casa. E ora è qui a testimoniare (come il mausoleo del Vietnam a Washington) non una vittoria, ma una sconfitta. La grande sconfitta nella sua carriera di manager di Dio.
Quell’albergo abbandonato nella zona di Mostacciano, acquistato a un’asta fallimentare nel 1983, dieci anni dopo sta per diventare un ospedale modello. Il più invidiato, il più celebrato, e in certi ambienti il più detestato di Roma. Il marchi di fabbrica è quello. E’ l’ultimo sogno di don Luigi: portare sotto il Cupolone la sua Opera per renderla immortale e avvicinarla ancor più a Dio. Ma Roma significa il confronto diretto con i palazzi della politica e con quelli vaticani.
“ Nel 1994 il rettore dell’università la Sapienza, Tecca, e io ci scambiamo le lettere d’intenti per un accordo universitario. Tutti mi chiedono, in quegli anni, di portare anche a Roma la filosofia del S. Raffaele; io so perfettamente di correre il rischio di ricatti e veti, ma alla fine cedo. Nel 1997 il San Raffaele di Mostacciano è pronto e il ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer (governo Prodi) firma il decreto che sdoppia la costipatissima Facoltà Medica della Sapienza e colonizza il S. Raffaele di Mostacciano, la cui gestione rimane alla Fondazione Milanese. “Lei deve venire a Roma”, mi dice il ministro a cose fatte. E arriva a battere i pugni sul tavolo come fanno quelli che vogliono sottolineare l’importanza di un gesto”.
L’ospedale è finito, arredato, dotato di strutture tecnologicamente all’avanguardia secondo il costume del San Raffaele. Sono già state assunte 150 persone e aperti i primi ambulatori. Sul fronte universitario, il nuovo rettore della sapienza, D’Ascenzo, firma il trasferimento dei docenti al San Raffaele: è l’avvio della seconda Facoltà di medicina.
Vengono persino fatti i concorsi e selezionati i ragazzi che avranno la fortuna di poter frequentare il nuovo ospedale di Mostacciano. Tutto è pronto, ma stranamente non si parte. Eppure, nella capitale, un centro come quello sarebbe un prezioso regalo. L’Umberto I scoppia. In moltissimi ospedali mancano le tecnologie: per poter effettuare una Risonanza magnetica capita di subire trasferimenti da un ospedale a un altro. La Pet non esiste. Ogni ritardo, ogni intoppo, ogni ostacolo è uno schiaffo nei confronti di migliaia di cittadini malati.
Non si parte perché mancano le convenzioni – puro ossigeno per un ospedale – e la Regione guidata da Piero Badaloni(Ppi) non le firma. Don Luigi s’accorge che qualcosa bolle in pentola e si precipita di nuovo dal ministro Berlinguer. “Gli faccio notare che ho speso 400 miliardi per realizzare l’ospedale e spendo milioni ogni giorno per i macchinari e per il personale. Com’è possibile che non arrivi il via libera? Lui allarga le braccia e mi dice con aria da sconfitto: “Ho fatto il decreto, che altro dovrei fare?”. Allora mi sovviene un episodio che avevo sottovalutato. Un giorno ero in Parlamento e stavo parlando con Berlinguer quando passa lei, Rosy Bindi, la ministra della Sanità. Berlinguer la chiama: “Vieni, c’è don Verzè”. Lei non si ferma neppure, ma accelerando sibila: “Non sono affari miei”. Neppure un saluto”.
Adesso è tutto chiaro: la sinistra cattolica dossettiana e lapiriana, giustizialista e pauperista, egalitaria e autoritaria, è in trincea. Li chiamano cattocomunismi; sono i nemici più agguerriti e determinati che il San Raffaele abbia dai tempi di Bucalossi e degli schiaffi milanesi. E possono contare su buoni alleati in Vaticano. Di questo è convinto don Luigi. “Nel luglio 1998 mi chiama Cesare Geronzi, e mi avverte che Rosy Bindi vuole cacciarmi da Roma. Ma non si ferma qui, è mio amico e aggiunge: non è solo la Bindi a volerla distruggere, anche al di là del Tevere premono. Poi mi rassicura: li ho dissuasi dall’insistere nell’insidiarvi e ho detto che chi tocca il San Raffaele, tocca gli interessi della Banca di Roma”.
Ma le pressioni diventano sempre più forti e don Verzè scrive sul diario: “Pende su di me l’immane sconfitta. Dormo poco, penso e tremo”. Ai primi di settembre il presidente del San Raffaele viene convocato da Rosy Bindi. Racconta lui: “L'appuntamento è per le cinque di pomeriggio a Roma. Arrivo e aspetto. Le sei, le sette, le otto. Alle nove ecco la Bindi. Si presenta e mi dice: "Lei deve andare via da Roma". Sei parole, è tutto. lo le rispondo: Per me è facile, prendo l'aereo, ma il San Raffaele resta dov'è. Allora lei affonda il colpo: "So bene che è la più bella struttura del Paese, ma Lei lo deve vendere a me, al mio Ministero". È l'unica cosa che non doveva dirmi, le rispondo triste e innervosito: "Ho costruito un tempio della medicina e della sofferenza e un sacerdote non può vendere un tempio. lo e lei non ci vedremo mai più". Me ne vado mentre la ministra borbotta qualcosa”.
Sulle sorti del San Raffaele di Roma scende una cappa di pessimismo. Dopo quel gelido colloquio fra la ministra della Sanità e don Verzè anche i rappresentanti degli istituti di credito che finanziano don Luigi cominciano a fare strani discorsi. Annota lui: “Il presidente della Cariplo Giovanni Ancarani, mio ospite in cascina, ci squaderna una situazione di pericolo”. In caso di mancata vendita a Roma, esisterebbe la possibilità di un commissariamento a Milano. Il tono delle telefonate di tutti gli altri è questo: “Caro don Luigi, se per caso avete intenzione di non aderire all'offerta noi saremo costretti a tagliare i fidi bancari. E lei sa di quanto siete esposti con tutte le vostre iniziative”.
E’ il momento peggiore, !'istituto si sente assediato anche dall'al di là del Tevere. Al Nunzio apostolico Andrea Montezemolo che gli chiede lumi sul destino della sua proprietà a Gerusalemme, don Verzè risponde piccato: “L'ex Gedda vada pure alla Cattolica, vi dono anche la mia proprietà di At-Tur, ma levate l'assedio al San Raffaele di Roma. E se così non sarà, venderò At-Tur agli ebrei». È una minaccia, perché gli israeliani stanno acquistando terreni sul monte Uliveto pagandoli anche cinque volte il loro valore pur di cacciare palestinesi e cristiani. Ma è vana anche questa.
Don Verzè invita Giovanni Bazoli, stimatissimo uomo, oltre che banchiere, per capire i margini di manovra. Il consiglio è sempre lo stesso: “Venda”. “Lo accompagno alla macchina - ricorda il sacerdote -. E gli dico che siamo pronti a farlo, ma con dignità. Aggiungo che a me non interessa che servire Dio e i miei fratelli sofferenti. Poi gli ricordo che la nostra fondazione ha prodotto in interessi per la Cariplo di oltre 200 miliardi in dieci anni. Mi lascia con un sorriso amaro, quasi a rimarcare suo malgrado il prevalere della ‘ragion di Stato’”. Anche Geronzi ha capito che la lotta è impari e gli dice: “A Roma non vogliono il nome S. Raffaele e la sua gestione, caro don Luigi. La struttura piace molto, però Lei deve lasciarla e tornare a Milano. Ma si ricordi che io sono sempre con lei”.
Il sacerdote coglie il messaggio. Prega. L'8 ottobre cade il governo per un voto. Per un attimo si riaccende la speranza. Ma Rosy Bindi viene confermata al ministero dal nuovo premier Massimo D'Alema. Scrive don Luigi sul diario: “Si avvicina il tempo della mia costrizione. Signore mi stai abbandonando? Con 15 anni di tenaci fatiche siamo riusciti a creare uno splendido ospedale in Roma. Tu vuoi distruggerlo?”.
Lo Stato prepara una perizia, ma invece di affidarsi all'Ufficio tecnico erariale si rivolge a un privato adducendo motivi d'urgenza. Hanno lasciato languire la struttura per due anni e adesso hanno fretta, forse perché sono in arrivo le elezioni regionali alle quali si ripresenta Piero Badaloni (verrà battuto da Francesco Storace di Alleanza nazionale). La valutazione di questa perizia è 201 miliardi. Alla notizia don Luigi sobbalza sulla poltrona: ne ha spesi 350. Anche secondo i suoi esperti - l'inglese Ricbard Ellis e la società American Appraisal, i migliori del mondo - il San Raffaele di Roma vale molto di più, 340 miliardi per gli inglesi, 330 per gli americani. Ma la risposta della Bindi è lapidaria: o 201 miliardi o niente. E le pressioni delle banche si fanno via via più iugulatorie.
Don Luigi è costretto a firmare un preaccordo per quella cifra, poiché l'unica alternativa sarebbe lasciar languire l'ospedale e licenziare 150 persone. Fra il preliminare e il contratto trascorrono due settimane, il tempo di convocare il consiglio d'amministrazione del San Raffaele. Mentre si attende l'ultimo atto, il telefono di don Luigi squilla e dall'altro capo del filo c'è Antonio Angelucci, un nome importante della sanità romana. La sua proposta è schietta: “Don Verzè, abbiamo saputo che la sua struttura di Roma è in vendita. Siamo interessati e vorremmo farle un'offerta: 270 miliardi compresi case e terreni sull'Appia Antica, Le vanno bene?”.
Anche se a prima vista sembra un intervento a orologeria, per un religioso dovrebbe chiamarsi Divina Provvidenza. Il consiglio d'amministrazione decide di non rinunciare a 69 miliardi in più (nessuno l'avrebbe fatto) e vota il sì agli Angelucci. Un ospedale, più 130 ettari di terreno a verde all'interno del raccordo anulare, più una villa sull'Appia Antica con 15.000 metri quadrati di parco: purtroppo la valutazione è sempre bassa rispetto al suo valore. E non è finita: il ministero, in possesso di una lettera di intenti, firmata non da don Verzè ma da un consigliere, denuncia il San Raffaele per comportamento contrattuale scorretto e minaccia una causa civile chiedendo il sequestro giudiziale dell'ospedale.
Di fronte all'ipotesi di cinque o sei anni d'attesa prima di una sentenza in Tribunale, il Consiglio della Fondazione accetta un accordo extragiudiziale: paga un indennizzo di sette miliardi al ministero e vende agli Angelucci.
Ricorda don Luigi: “Hanno comprato sapendo di poter rivendere”. Dopo sei mesi gli Angelucci rivendono il San Raffaele per 320 miliardi allo stesso ministero della Sanità che lo aveva valutato 201, con una plusvalenza secca di 50. Quarantotto ore prima delle elezioni regionali, Rosy Bindi, Piero Badaloni e Lionello Cosentino (assessore regionale alla Sanità diessino) annunciano alla stampa: “Finalmente si apre al pubblico una struttura sanitaria che era bloccata da tempo”.
Vero, ma bloccata da loro. C'è di più. Stiamo parlando di una struttura che, se non fosse stata palesemente osteggiata, avrebbe funzionato gratis, senza costringere lo Stato a sborsare 320 miliardi. Rimane in piedi una domanda: come mai per il ministero un ospedale vale 20 miliardi se a venderlo è don Verzè e ne vale 320 (sei mesi dopo) quando a venderlo è la famiglia Angelucci?


**********************************


La Padania
1/11/2002
Don Verzé e il "sadico esproprio"

Il gran patron dell’ospedale San Raffaele apre a Roma e accusa. Rosy Bindi lo costrinse a svendere per offrire la struttura a 120 miliardi in più
di Gigi Moncalvo

Il "sadico esproprio". Don Luigi Verzé, emerito sacerdote e professore, già gran patron del "San Raffaele", l'ospedale di Milano modello in tutto il mondo, ha usato questa forte espressione per ricordare una pagina terribile e vergognosa che lo ha visto "vittima" di una banda cattocomunista, guidata da Rosy Bindi. Una storia che ha visto vittime innocenti migliaia di cittadini, malati e pazienti che avrebbero potuto avere a costo zero e con anni di anticipo, anche a Roma, una struttura ospedaliera d'avanguardia per curare tumori. Per anni invece i malati del male terribile hanno dovuto essere stipati nelle malandate corsie del Regina Elena o lasciati in dolente lista di attesa.

Don Verzé, con la sua forza e la sua determinazione, è riuscito ancora una volta ad abbattere ogni ostacolo ma l'altro giorno, al momento dell'inaugurazione a Roma della sua ultima "creatura", il modernissimo Parco Scientifico Biomedico a Castel Romano vicino a Pomezia, non ha voluto cancellare le amarezze del passato e una ferita che è ancora aperta.

Vale la pena di ricordare che cosa accade, vale la pena di far conoscere tutti quella vergognosa pagina che qualcuno vorrebbe cancellare o far finta di non conoscere.

Dunque, Don Verzé aveva costruito un nuovo grande ospedale San Raffaele a Roma, nel quartiere Mostacciano vicino all'Eur. L'ospedale era pronto, finito, arredato, dotato di strutture tecnologicamente all'avanguardia, aveva assunto 150 persone e aperto i primi ambulatori. Per due anni la Bindi aveva posto ostacoli di ogni sorta e la regione (guidata da Piero Badaloni, Ppi) non voleva firmare le convenzioni che sono l'ossigeno per andare avanti. Dopo due anni di traccheggiamento e di ostacoli, don Verzè chiede un chiarimento definitivo: "Volete farmi morire o lasciarmi sopravvivere?". È la fine del 1998, dal ministero Rosy Bindi gli fa sapere senza mezzi termini: "A Roma non aprirete mai. Tornate a Milano dal vostro Formigoni, visto che lui e voi di sanità ve ne intendete…è meglio che vendiate tutto a noi". Quarantotto ore dopo l'"amichevole messaggio" di Rosy Bindi, squilla il telefono di don Verzè. La voce della segretaria annuncia un altissimo dirigente della Carialo, forse del Ppi, lo stesso partito dell'allora ministro della sanità. Il discorso è chiaro come quello della ministra: "Caro don Luigi, ho saputo la bella notizia della generosa offerta che avete avuto dal ministero". Dopo i complimenti ecco la vera ragione della telefonata. "Sappiate - aggiunge più o meno - che se per caso avete intenzione di non aderire all'offerta noi saremo costretti a tagliarvi i fidi bancari. E lei sa di quanto siete esposti con tutte le vostre iniziative e realizzazioni…".

Ma guarda che combinazione, ma guarda che gioco di squadra, ma guarda che bella coincidenza.

Don Verzè, con la pistola alla tempia, capisce il messaggio e allaccia le prime trattative per vendere l'immobile al ministero. Gli investimenti hanno raggiunto i 350 miliardi, il valore dell'immobile e delle attrezzature e tecnologie con ambulatori già operativi è pari a quella cifra. Occorre una perizia per stabilire il valore e quindi il prezzo da pagare. Accade un altro fatto strano: il Ministero anziché affidarsi a una perizia ufficiale dell'UTE (l’Ufficio tecnico erariale) si rivolge ad un perito privato adducendo la necessità dell'urgenza. "Duecentouno miliardi", questa la incredibile e irreale valutazione fissata da questa perizia. Don Verzè non si arrende, non vuole essere preso in giro e si affida a due diversi periti stranieri, i migliori al mondo: l'inglese Richard Ellis e la società americana "American Appraisal". Il primo valuta 340 miliardi e la seconda 330. A questo punto le due perizie vengono inviate al Ministero con la richiesta di don Verzè di affidarsi a un perito del tutto nuovo che possa fare una valutazione equa. "O così o niente. Noi al massimo vi diamo 201 miliardi" è la risposta che arriva dagli uffici di Rosy Bindi.

Obtorto collo, don Verzè è costretto a firmare, l'alternativa infatti sarebbe drammatica: un esproprio a prezzi molto bassi oppure l'ospedale lasciato marcire, con 150 assunti da licenziare. Il giorno della firma di quel preliminare, don Luigi probabilmente comincia a coniare il famoso termine "sadico esproprio". Il preliminare deve naturalmente essere ratificato dal consiglio di amministrazione della Fondazione San Raffaele del Monte Tabor, ci vogliono un paio di settimane prima della riunione.

E qui, all'improvviso - ecco un'altra strana coincidenza - interviene la Divina Provvidenza. Suona il telefono di don Luigi, è la famiglia Angelucci, probabilmente il grande capo della dinastia, cioè il signor Tonino, gran fiore della sanità romana. "Don Verzè, abbiamo saputo che la sua struttura di Roma è in vendita. Siamo interessati, molto interessati. E vorremmo farle un'offerta. 270 miliardi. Le va bene?". Ohibò, ma allora è vero e hanno ragione sia Vittorio Feltri, futuro dipendente degli Angelucci dopo la tragica morte di Stefano Patacconi (l’editore di "Libero"), sia Massimo D’Alema, compagno di merende:"Gli Angelucci sono esseri divini". I giornalisti de "L'unità" non sono molto d'accordo visto che la famiglia amica di Massimo, insieme ad Alfio Marchini, ha chiuso il giornale ma chi se ne importa di qualche centinaio di lavoratori DS messi sul lastrico e delle loro famiglie?

Al posto di don Verzè chiunque avrebbe accettato quell'offerta. 270 miliardi anziché i 201 di Rosy Bindi. Perché rinunciare a 69 miliardi? A questo punto anche il CDA del San Raffaele è d’accordo: tra le due offerte (i 201 miliardi nel frattempo avrebbero potuto essere rivalutati fino a 214 per una diversa valutazione di altri immobili) viene ovviamente scelta quella di Angelucci.

A questo punto comincia la manfrina. Il Ministero fa l'offeso e minaccia sfracelli. "Ma come? Avete firmato con un preliminare e adesso mandate a monte l'affare?" La testa d'ariete è Raffaele Dari, commissario straordinario dell’IFO, Istituti fisioterapici ospedalieri (cioè il "Regina Elena" e il San Gallicano"), un ente dipendente dal ministero e che avrebbe dovuto di fatto rilevare la struttura ospedaliera. Egli comunque agisce sicuramente con l'avallo politico di Rosy Bindi: denuncia il San Raffaele per comportamento contrattuale scorretto e chiede il congelamento del contratto firmato con gli Angelucci, minacciando una causa civile. Di fronte all'alternativa di una causa che si sarebbe prolungata per almeno 5-6 anni, il San Raffaele accetta un accordo stragiudiziale, paga 6 miliardi di indennizzo all'IFO e vende agli Angelucci. In sostanza don Verzè vende la sua realizzazione del valore di 350 miliardi per soli 270 miliardi, ce ne rimette 80 e gli tocca scucirne altri sei per tenere buono il Ministero. La storia non è finita. Gli stessi Angeli che erano scesi dal cielo ed erano planati sul tavolo di don Verzè sotto forma di Angelucci, nel frattempo erano certo risaliti in cielo in attesa di tornare giù e compiere un altro miracolo. Sapete dove planano questa volta? Sì, avete indovinato: arrivano a casa Angelucci. La famiglia che dà lavoro a Feltri aveva sborsato 270 miliardi e, dopo appena sei mesi, rivende l'opera per 320 con un bel guadagno di 50 miliardi tondi tondi. Sapete quale volto avevano i tre angeli arrivati dal cielo con quel surplus di 50 miliardi? Rosy Bindi (gli angeli, quelli veri, vogliano cortesemente scusarci per l’ardito accostamento), il dottor Piero Badaloni, presidente della giunta regionale del Lazio, e tale Lionello Casentino, ds, assessore regionale alla sanità. I tre "re magi" si presentano alla stampa 48 ore prima delle elezioni regionali, in cui si ripresenta Badaloni (per poi essere trombato da Francesco Storace), e annunciano urbi et orbi la lietea novella. Hanno la sfrontatezza di dire: "Finalmente si apre al pubblico una struttura sanitaria che era bloccata da tempo". Ma se erano stati proprio loro a bloccarla… Dimenticano di precisare che se fosse stata lasciata al San Raffaele, l'istituzione di don Verzè l'avrebbe aperta al pubblico senza far sborsare nulla allo stato. Nessuno dei tre, a cominciare dalla Bindi, dà la spiegazione che tutti si attendono: come mai avete pagato 100 miliardi in più, cioè ben 320 miliardi, un ospedale che secondo voi ne valeva solo 201? Morale della favola. Qualche parlamentare in un paio di interrogazioni al governo di centrosinistra, parla di "indennizzo per altri favori". Qualcuno si spinge a questo ragionamento. Gli Angelucci erano soci di minoranza de "L'unità". Leggendo i bilanci del giornale emerge che ogni anno c'erano perdite per 6 miliardi, limitatamente alle quote della famiglia. Sei miliardi moltiplicati per quattro anni, fanno un totale di 24 miliardi. Questa quindi è la somma che gli Angelucci avevano generosamente sacrificato per la…causa de "L'unità". Poi ci sono da calcolare gli interessi, l’esposizione, il sacrificio.

Molti si sono stupiti l'altro giorno a Roma sentendo ripetere più volte da don Verzè quella frase sul "sadico esproprio". Lo stesso Silvio Berlusconi, che grazie al livello dei medici e delle cure del San Raffaele è stato "fatto risorgere" alla vita, come ha voluto ricordare, si è augurato che "le ricerche nel campo delle celle staminali possano sanare la ferita aperta nel cuore del caro don Luigi".

E accanto c'era Walter Veltroni con la solita espressione di quello che non capisce dove è, cosa fa, di che cosa si stanno parlando, chi lo ha mandato lì. Don Luigi invece ha guardato Berlusconi fisso negli occhi ma senza alcuna apparente reazione. Ma si capiva benissimo che, insieme a noi, gli stava passando per la mente questo pensiero: comunque siano andate le cose, la nostra grande speranza che la Bindi e D'Alema si togliessero dai piedi e venissero mandati a casa era stata esaudita. È proprio vero lassù qualcuno ci ama.
INES TABUSSO